La profezia

……. Ma male seppe interpretare la parola mendace del dimonio che gli disse si guardasse che morrebbe in Firenze, e egli non si guardò da Fiorenzuola ……

Alla fine di novembre dell’anno dell’incarnazione del Salvatore 1250, Federico si dedicava alle “dolci delizie” della sua amata Puglia. Era a caccia, uno dei suoi ozi preferiti, ma un attacco di dissenteria lo costrinse a rientrare. Le sue viscere erano dilaniate da un fuoco che le rendeva incandescenti. Le febbri non tardarono ad arrivare, era in preda al canto della morte, era talmente grave da non poter rientrare a Foggia. Si fermò in un’elegante domus imperiale presso castel Fiorentino (attuale territorio di Torremaggiore). Adagiato su un letto dai guanciali cuciti con fili dorati e dai pregiati ricami orientali, era circondato dalla sua corte, dai suoi fedeli amici e dai medici della prestigiosa scuola Salernitana. L’imperatore da valoroso guerriero …. quando in battaglia brandiva la spada e con la mazza ferrata dava colpi a destra e a sinistra i nemici fuggivano come se fosse stato il diavolo …. aspettava il suo nemico, determinato, con coraggio. All’improvviso, però, riecheggiò la profezia, una voce, quella del suo fedele indovino Michele Scoto morto anni prima : “morirai davanti a mura di ferro in una città dal nome di un fiore”.

Ad un tratto il suo sguardo si rivolse verso una piccola porta con i battenti di ferro lavorato dai pesanti martelli dei maestri fabbri e con sforzo sussurrò per conoscere il luogo in cui si trovava. Sentendo il nome Fiorentino capì che la profezia si stava avverando.La morte come una spietata fiera giocava con la sua preda. Federico resisteva con tenacia ai suoi attacchi e ordinò di indossare il candido saio dei monaci Cistercensi, sì era pronto. Nei giorni di tregua concessi dal suo nemico fece testamento. L’ultima sera prima del viaggio si affidò ai medici della scuola Salernitana che cercarono di alleviare le sue membra con qualche pera cotta nello zucchero. L’indomani, il 13 Dicembre dell’anno dell’incarnazione del Salvatore 1250, circondato dai suoi fedeli, dall’arcivescovo di Palermo, spirò; il sole della giustizia e della pace che illuminava le genti era tramontato.

La sua morte fu tenuta nascosta e per 15 giorni il suo corpo fu affidato ai medici che provvidero ad imbalsamarlo per prepararlo al suo ultimo viaggio nel regno. Il feretro, infatti, in un lungo corteo scortato dai fedelissimi Saraceni e dai cavalieri Teutonici fece ritorno a Palermo, nella città dove da bambino aveva sognato il suo regno, nella cattedrale della città, in un sarcofago di porfido.

Il 28 dicembre il feretro attraversò la Puglia per essere imbarcato a Taranto diretto a Palermo….. Alli 28 de lo detto mese passao lo corpo de lo imperatore, che lo portaro a Taranto…… et handao in una lettica coperta de velluto carmesino co’ la guardia de li sarracino ad pede et sei compagnie de cavalli armati, cha come intraro per le terre handaro chiangendo a nome lo imperatore…….

Dopo la sua morte circolarono nel regno cronache che indicavano Manfredi, suo figlio illegittimo, come colpevole di parricidio che, per appropriarsi del ducato di Taranto e del regno di Sicilia, uccise il padre. Manfredi, l’unico in grado di avvicinarsi all’imperatore senza creare alcun sospetto, l’unico da poter rimanere solo nella stanza per compiere il diabolico gesto, l’unico, come ricostruisce il Villani nella sua cronaca, da poter avvicinarsi al padre e soffocarlo con un cuscino. Manfredi, colui che fu ritenuto anche colpevole, secondo le teorie guelfe, della morte del fratello Corrado IV, erede legittimo, morto a soli 26 anni di una misteriosa malattia causata da non adattamento all’ambiente mediterraneo, seppure la leggenda racconta che ad ucciderlo fu un clistere avvelenato ad opera sempre del diabolico Manfredi.

Ancor oggi, dopo settecento anni rimangono gli interrogativi sulle cause della morte di Federico II e di Corrado IV, di quei giorni trascorsi presso castel Fiorentino. Ma pure da morto Federico non trovò pace. La sua tomba fu più volte violata, come risulta da “I regali sepolcri del duomo di Palermo del 1784 di Francesco Daniele”. Per ordine, in effetti, di Ferdinando IV di Borbone nel 1781 la cattedrale di Palermo fu restaurata e dalla cronaca e dai disegni di F. Daniele si nota lo stato di perfetta conservazione della salma di Federico di Hohenstaufen con i vari ornamenti all’interno del sarcofago. Indossava varie tuniche, preziosi, la corona, c’era la sua spada ecc.

Tra i vari ornamenti vi era anche qualcosa di alquanto misterioso: un anello. La mano destra dell’Imperatore era ornata da un anello con un grosso smeraldo circondato da petali molto probabilmente dorati, il cui numero corrispondeva ad otto. Una coincidenza? L’uomo che era stato incoronato imperatore nella cappella di Aquisgrana dalla forma ottagonale, che aveva realizzato l’opera di Castel del monte pure dalla forma ottagonale, che indossava per il suo ultimo viaggio un anello con otto petali……

Troppe coincidenze per un numero che compare troppo spesso nella sua vita e nella sua morte. Sommando anche le cifre dell’anno in cui muore 1250, si ha come risultato il misterioso numero otto. L’anello identifica forse il simbolo dell’adepto? Colui che era iniziato alla piccola corte del sapere e della conoscenza, che aveva il suo cuore in Castel del monte? Rimane uno dei tanti misteri ancor oggi irrisolti. Ormai, oggi, dopo l’ultima apertura del sarcofago del 1994, rimangono poche tracce dei resti: materiali come stracci o altro che servirono per l’imbalsamazione dell’Imperatore. L’apertura avvenuta nel 1781, quella ancor prima nel XIV secolo per deporvi delle salme, una violazione durante il secondo conflitto mondiale ad opera delle truppe tedesche in cerca di qualcosa, hanno alterato il suo interno rendendo impossibile le ultime risposte agli innumerevoli interrogativi intorno a Federico II.